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La storia di una vocazione consacrata raccontata senza retorica da un uomo che, a 75 anni, si ritrova dove tutto era iniziato: Villa Brea di Chieri. O forse tutto inizia nella campagna, in famiglia. A Chieri studia e si laurea in lingue. Noviziato in Francia, 10 anni in Messico, sul confine di Tijuana, 16 anni nelle Filippine, a fondare e dirigere scuole, a costruire comunità nello stile di Nazareth. Davide appartiene alla Sacra Famiglia, unica Congregazione fondata nell’800 da uno che non è prete: Gabriele Taborin. I fratelli gestiscono la scuola SAFA in via Rosolino Pilo, dalle parti di corso Francia. Conosco fratel Davide a Cambiano, un paese a 15 km da Torino. Ogni mese celebro l’eucarestia, lui suona l’organo. E’ una persona sorridente, alla mano. Solo leggendo la sua autobiografia scopro che parla inglese, francese, spagnolo ed ha pure studiato il cebuano un idioma nell’estremo Oriente. Fratel Davide è bresciano, come mio padre. Lo spiedo era un rito per mio padre, i suoi benefattori bresciani del gruppo dello spiedo mi ricordano non solo una tradizione tipica delle terre bresciane ma anche un tratto di personalità, gente che non ha paura di rimboccarsi le maniche, gente tenace, gente infastidita dalla vanagloria, gente con la schiena dritta che guarda le persone negli occhi. E’ il genius loci, il carattere di una terra. Mio padre lasciò le sue terre per cercare lavoro e si sposò a Cuneo, dove sono nato. Fratel Davide ha lasciato la frazione di san Pancrazio, sul fiume Oglio, vicino al lago d’Iseo, per venire a Chieri e studiare. I suoi figli sono ragazzi/e che hanno potuto studiare in Italia, in Messico, nelle Filippine grazie alle borse di studio arrivate perché qualcuno le ha cercate. Io voglio andare è il titolo del libro, è la frase scritta su un biglietto in quarta elementare quando un fratello della Sacra Famiglia passò nella scuola e lo fece sognare con le foto di Paesi esotici. Durante la chiusura del covid fratel Davide ha scritto la sua autobiografia. La vocazione di fratel Davide è raccontata senza retorica. Le vicende della vita si alternano con domande, dubbi, osservazioni critiche. I 16 anni passati nelle Filippine si concludono con una sensazione piacevole che sfiora i rischi della “comfort zone” ma i primi mesi hanno sfiorato l’esaurimento nervoso. Personalmente soffro quando leggo certe agiografie di santi raccontate in modo retorico, come fossero angeli scesi tra gli uomini, come se la psicologia del profondo non ci avesse svelato le ipocrisie che insidiano ogni essere umano, anche i consacrati. Mi sembra che le persone raccontate non siamo davvero conosciute quanto piuttosto usate per celebrare una organizzazione. Se dovessi scegliere un momento prenderei il periodo in California (pagina 165). Febbraio 2007, 62 anni. Uno stop dalle attività per lavorare su di sé. 40 persone, età sopra i 50 anni, provenienze differenti, tra le guide un francescano, un gesuita. Non indottrinamento ma campo aperto di confronto. Il primo passo era riconoscere il positivo ed il negativo presenti in noi per operare una sintesi aperta alla speranza. Più di una volta nella vita di fratel Davide ci sono degli stop, dei tempi dedicati alla formazione non all’attività. Anche la stesura di questo libro è una tecnica formativa, un’autobiografia alla luce della parola di Dio e del carisma di fratel Gabriele Taborin.

Don Alberto Zanini