“Il nome della rosa” è un romanzo scritto da Umberto Eco e ambientato nel 14esimo secolo in un monastero benedettino nell’Italia settentrionale nel quale si sarebbe tenuto un incontro tra frati francescani e ambasciatori papali. Il frate Guglielmo da Baskerville, in quanto ex inquisitore, viene incaricato dall’imperatore di assistere all’evento, insieme al suo allievo Adso da Melk. Durante il convegno nell’abbazia Guglielmo si vede costretto a indagare su un mistero legato a un antico manoscritto greco conservato nella biblioteca, causa della morte di qualunque monaco lo sfogli. Qui vivono anche due ex dolciniani, Remigio da Varagine e Salvatore, il quale ebbe un rapporto scandaloso con una povera ragazza considerata strega e accusata di essere la ragione delle morti nel monastero: i tre vennero processati e condannati dall’inquisitore Bernardo Gui. In seguito Guglielmo e il suo sottoposto riescono a raggiungere il labirinto della biblioteca e a scoprire la maledizione connessa all’ultima copia del secondo libro della Poetica di Aristotele, un veleno spalmato sullo scritto dall’anziano cieco Jorge da Burgos, che, dopo aver tentato di uccidere il frate, prova a divorare le pagine affinché nessuno possa leggerle, provocando però un incendio che avrebbe distrutto l’abbazia. Il romanzo contiene importanti riferimenti culturali riguardanti il Medioevo, come le diverse correnti filosofiche correlate alla religione cristiana, ad esempio la setta dei dolciniani, seguaci di Fra Dolcino e con un pensiero simile a quello francescano, relativo alla povertà della vita. Un altro richiamo a quel periodo storico è sicuramente la presenza dell’Inquisizione, un organo creato dalla curia papale per contrastare le eresie emerse in opposizione alla corruzione della chiesa, come si evince anche dall’esagerata ricchezza dell’abate del monastero. Il personaggio che più ho apprezzato è indubbiamente Guglielmo da Baskerville, un francescano e inquisitore pentito, per la sua intelligenza e capacità di risolvere enigmi. È particolare anche per la sua curiosità, dote che sicuramente non apparteneva ai monaci medievali, convinti che il cristianesimo rispondesse già a tutti i quesiti. È un uomo carismatico e razionale, dal carattere forte e indipendente, ma allo stesso tempo ironico e divertente, giudizioso e protettivo nei confronti di Adso. Quest’ultimo, il novizio benedettino seguace di Guglielmo, è invece il personaggio che mi è meno piaciuto, perché trovo che oltre ad essere il narratore della storia, non abbia fatto niente di concreto a livello di trama. Un altro personaggio emblematico è Jorge da Burgos, un saggio del monastero ormai prossimo alla morte, altamente contrario al riso, che si sente quindi in dovere di portare con sé nella tomba il “segreto” relativo al manoscritto di Aristotele. La sua non è semplice avversione, ma vera e propria paura, poiché considera il riso una debolezza: non ho compreso a pieno quest’idea, ma è comunque un punto di vista interessante, pur non condiviso. Ho trovato il romanzo molto avvincente a livello di trama, anche perché apprezzo i generi gialli ambientati nel passato, e soprattutto il monastero trasmette un’aura più misteriosa rispetto a qualunque altro luogo, alimentata anche dal periodo medievale nel quale si svolge la vicenda, il quale rende tutto più “pauroso” ed enigmatico. Il libro, pur essendo molto lungo, risulta piacevole da leggere, nonostante le numerose frasi in latino e le parti di intere riflessioni filosofiche, che risultano in alcuni casi molto noiose. Inoltre mi è piaciuto il modo di Eco di descrivere personaggi e situazioni, perché ti invoglia a continuare a leggere il libro, pur essendo a volte un po’ pesante, anche a causa della lunghezza dei capitoli, ognuno corrispondente ad un giorno, e ulteriormente suddivisi nei vari momenti della giornata. In conclusione ho gradito molto il libro perché non smette mai di incuriosire e per la trama molto particolare, se non per alcune parti più monotone. Purtroppo però non sono riuscita a capire bene il messaggio che vuole trasmettere l’autore, oltre ai riferimenti storici e filosofici dell’epoca e al continuo contrasto tra religione e ragione che traspare nel romanzo: è comunque un classico che consiglio di leggere.
Silvia Botto – 4 liceo A