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Una persona alla volta non è, come teneva a precisare il suo autore, un’autobiografia, ma il racconto appassionato di un’esperienza lunga una vita, vissuta sempre in prima linea, nella sala operatoria di un ospedale da campo in una delle tante zone del mondo in cui è in corso una guerra e bisogna salvare vite umane. Il libro, però, è anche un potente manifesto di denuncia contro la barbarie che qualsiasi conflitto armato comporta soprattutto per la popolazione civile e l’ingiustizia e la disuguaglianza sociale, rispetto alla possibilità di accedere alle cure mediche necessarie, ancora troppo diffuse in molte aree del pianeta. Gino Strada racconta la sua vita di medico chirurgo spesa al servizio dei pazienti, dalle corsie dell’ospedale di Milano, dove è cominciata la sua “missione” -così sua madre definiva la sua professione- ai campi profughi dei molti Paesi in cui ha prestato soccorso ai mutilati di guerra, spesso bambini feriti dall’esplosione di mine anti-uomini scambiate per giocattoli, fino alle strutture attrezzate da Emergency, la sua creatura. Nella trama dei ricordi, che intesse riga per riga, l’autore inserisce continue riflessioni personali, spesso polemiche, scaglia esplicite accuse contro le lobby di potere economico-politico che hanno influenzato massicciamente le scelte dei governi, fa nomi e cognomi di coloro che ritiene quantomeno corresponsabili delle più orrende stragi della storia recente. Questo scritto, rifinito e dato alle stampe postumo dalla moglie Simonetta, è molte cose insieme ed assolve contemporaneamente a molteplici funzioni: da una parte fa luce su problematiche di scottante attualità, lanciando l’allarme su situazioni preoccupanti che riguardano anche quei Paesi, come l’Italia, che hanno avuto per decenni un sistema sanitario nazionale tra i più avanzati al mondo e a questo proposito chiama in causa il mondo della medicina, i suoi interessi con le case farmaceutiche e la classe politica; dall’altra, soprattutto nelle pagine conclusive, fa risuonare un appello universale rivolto ai capi di Stato così come alle persone comuni a dire un perentorio “no” alla guerra, perché essa per definizione è sempre ingiusta e non è mai il modo di risolvere i problemi; infine è anche, soprattutto, una petizione dei diritti dei malati, non solo delle vittime delle guerre, che, nelle intenzioni dell’autore, si configura come un’integrazione necessaria alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 e che rappresenta una nuova frontiera verso un grado più alto di civiltà e umanità.

                                                                                                                                                                      Prof.ssa Elisa Melotti