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“C’è una bella parola: niente. Non pensare a niente. Non al Kanzler né al Katholon, pensa al clown che piange nella vasca da bagno, mentre il caffè gli gocciola sulle pantofole.” Sono sempre stato un amante di quei libri con titoli contenenti categorie di persone tipicamente derise: “L’idiota”, per esempio. Di per sé infatti già solo il titolo di questo libro di Heinrich Boll è un paradosso: chi vorrebbe mai ascoltare le opinioni di un clown? Cosa mai avrà da dire di così interessante un clown? Il romanzo racconta una giornata nella vita di Hans Schnier, nello specifico si parla di tre ore. Dopo aver fallito un altro numero di un suo spettacolo, facendosi anche male al ginocchio, decide di tornare a Bonn, la sua terra natia. Da un po’ i suoi numeri non venivano più, e il motivo di questi fallimenti è riscontrabile nell’abbandono della donna della sua vita: Maria. Infatti poco tempo prima era scappata dal protagonista, andando con Zupfner, un cattolico che insieme ai compagni del comitato aveva sempre visto male Hans (poiché non credente) con il risultato di portargli via la sua unica ragione di vita. Per tutto il libro vedremo il protagonista chiamare al telefono persone da lui conosciute per farsi prestare soldi, essendo messo male economicamente. Lo scrittore gestisce benissimo questa meccanica intervallando scene del presente con flashback che partono tramite ricordi scatenati dalle chiamate stesse. Nel libro viene criticata un’ipocrisia palpabile nella germania post seconda guerra mondiale. Viene anche preso in giro questo miracolo economico tramite i personaggi della mamma e del papà del protagonista. Pur essendo milionari non daranno mai al proprio figlio degli aiuti economici. Il padre lo andrà anche a trovare, e dopo avergli offerto una proposta, prontamente rifiutata, se ne andrà lasciando il figlio più disperato di prima. Sono tanti i personaggi che portano su se stessi il peso di rappresentare un gruppo di persone. Nonostante solo il protagonista sia un clown, tutti i personaggi che lo circondano portano maschere che li rendono più “buffi” di lui.

                                                                                                                                                                       Davide Salerno – 3 liceo A