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Nell’ora più calda di un primaverile tramonto, due intellettuali moscoviti cercano un po’ di refrigerio su una panchina, quando vengono avvicinati da uno straniero, con occhi di colore diverso. Dopo aver conversato con loro per un poco, sostenendo di aver conosciuto personalmente Ponzio Pilato, questo predice la tragica morte di uno di loro, che si avvera di lì a pochi minuti. Lo straniero si chiama Woland ed è Satana, giunto a Mosca con il suo seguito infernale, per avvolgere la città e i suoi abitanti con la propria oscurità. Questo è il sorprendente inizio de “Il Maestro e Margherita”, capolavoro di Michail Bulgakov e caposaldo della letteratura russa. La lettura dell’opera richiede certamente un certo impegno. Il romanzo trasuda erudizione a ogni pagina (decisamente evidenti sono i richiami al Faust di Goethe) e l’intreccio si dipana su tre filoni narrativi paralleli e intessuti tra di loro: lo scompiglio e le malefatte di Woland in particolar modo contro l’elitè intellettuale moscovita; la storia di Ponzio Pilato e del suo incontro con Gesù; la storia d’amore tra il Maestro (di cui non viene mai fatto il nome) e la sua Margherita. Chi pensa di approcciarsi al classico romanzo russo, rimane sorpreso: la trama è avvincente, caratterizzata da continue situazioni paradossali, a volte ai limiti dell’horror; le vicende sono fantasiose e oniriche da far impallidire le più recenti narrazioni fantasy; i personaggi sono delineati nelle loro più piccole sfaccettature, dalla superficialità e ipocrisia dei letterati di una certa fama all’inquietudine disperata del Maestro che abbraccia il senso di malinconia che tanto caratterizza le narrazioni russe. Il Maestro è altresì l’alter ego di Bulgakov: un uomo spezzato dalle cattiverie dei critici che avevano massacrato i suoi lavori e che lo avevano addirittura portato ad accarezzare l’idea del suicidio. Bulgakov infatti brucia il manoscritto de “Il Maestro e Margherita” (esattamente come fa il Maestro con il suo lavoro più prezioso, il romanzo dedicato a Ponzio Pilato, stroncato dagli intellettuali moscoviti), ma poi lo riscrive perché ricordava la sua opera parola per parola. La forza di questo lavoro sta infatti nelle parole e nella capacità di descrivere in modo vivido e reale immagini frutto della fantasia potente dell’autore: indimenticabile è Margherita che, trasformatasi in strega, vola a cavallo di una scopa sulle vie illuminate di Mosca; o il ballo satanico, durante il quale dal camino della casa occupata da Woland, in via Sadovaja numero 50, escono le anime dannate che vanno a rendere omaggio al Signore del Male, sempre accompagnato dal suo luciferino gatto a due zampe che gioca a scacchi e fuma il sigaro; o ancora la cavalcata nel cielo di Satana e il suo seguito che accompagna il Maestro e Margherita verso la pace tanto agognata. Perché il Maestro e Bulgakov volevano solo questo: il silenzio, una casa con la finestra a trifora e l’uva rampicante che arriva fino al tetto, la musica di Schubert che pervade tutta la dimora come un profumo, gli amici che non gli danno ansia che conversano con lui e dormire con un berretto lurido e il sorriso sulle labbra. Al di là dell’evidente desiderio di riscatto e di vendetta di Bulgakov “Il Maestro e Margherita” resta una straordinaria storia d’amore, tra un uomo, talmente contrito da temere di inglobare nella sua oscurità la donna che ama, e Margherita, che scende a patti con il diavolo pur di riaverlo accanto a sé. Non sappiamo se Bulgakov abbia ottenuto la pace come il suo Maestro, ma di certo ha avuto la gloria: il romanzo ebbe talmente tanto successo che via Sadovaja numero 50 divenne addirittura meta di pellegrinaggio per molti lettori che imbrattarono i muri del palazzo con dediche e pensieri nei confronti dell’autore e del suo romanzo. Uno di questi recitava: “Anche se non sono Margherita, troverò il mio Maestro”…magari in una notte di plenilunio, a cavallo di una scopa.

Prof.ssa Silvia Piede