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“Dimentica il mio nome” è una graphic novel realizzata da Zerocalcare, noto fumettista italiano: fra invenzione e autobiografia, l’autore racconta la storia della sua famiglia a partire dalla morte della nonna materna a cui era molto legato fin dall’infanzia. Infatti, è proprio questo elemento che dà il via alla storia e che ne delinea i contorni e la morale fino alla fine. La vita della nonna Huguette, di origine francese, e il marito inglese, scomparso durante la guerra, permettono a Zerocalcare di riscoprire la sua famiglia, di cui in precedenza si era disinteressato, e di avventurarsi per la prima volta, insieme al lettore, in un percorso introspettivo che ha sicuramente permesso all’autore di superare un momento difficile, quale la morte di una persona cara, attraverso la scrittura e il disegno. Ed è proprio grazie all’utilizzo di situazioni comuni, come il lutto, che Zerocalcare permette al lettore non solo di essere uno spettatore di ciò che scrive, ma di immedesimarsi maggiormente nella storia toccando in modo ironico e alcune volte serio (tipico del suo stile) tematiche sensibili. Personalmente questo fumetto mi è piaciuto molto: i disegni e l’impaginazione sono molto particolari e ho fatto un po’ di fatica all’inizio a leggere i dialoghi normalmente piuttosto che da destra come nei manga, ma dopo qualche pagina sono stata catturata totalmente dalla storia che ho finito in mezza giornata. Nonostante il tema del lutto mi sia al momento fortunatamente lontano, sono riuscita comunque a immedesimarmi perfettamente in Zerocalcare, nella sua paura di piangere ed essere giudicati di fronte alla morte, di aver perso le proprie radici e soprattutto una parte fondamentale della propria infanzia, nel suo caso la nonna che lo ha cresciuto. Mi ha colpito in particolare una parte in cui l’autore racconta di come sua madre, da lui considerata sempre come una figura impenetrabile e di sostegno, si sia rivelata non solo debole di fronte al lutto, ma anche diversa da come il figlio l’aveva sempre considerata. A fine storia infatti scrive: «Accettare che quel monte che protegge la vallata ha anche un altro versante, nascosto. Che il terreno non è tutto uguale, ci sono zone più fertili, altre più aride…alcune parti sono addirittura a rischio frana. Ci sono angolazioni e scorci che non avresti mai potuto scorgere dalla tua prospettiva iniziale». In queste parole che lui riferisce alla madre io ho trovato uno spunto non solo per capirmi meglio, ma anche per comprendere di più gli altri, a partire in primis dai membri della mia famiglia, che come l’autore, sento di non conoscere bene quanto dovrei. Perché bene o male tutti i bambini mettono su un piedistallo gli adulti e in particolare i genitori come esempi da seguire, e quando si cresce si scopre che in verità tutte le idee che ci eravamo fatti erano solo fantasie e che, come noi, anche loro hanno debolezze e fragilità, che però sono più in grado di mascherare o nascondere. Avrei invece da criticare la parte più fantasy del racconto, sulla storia delle volpi che convivono nel mondo degli umani fino al punto di mescolarsi con loro, punto importante della narrazione legata alla vita della defunta nonna dell’autore. All’inizio è stato un po’ complicato capire le dinamiche della storia, ma alla fine mi ha colpito una frase riguardo alla questione del nome e dei segreti: «L’identità è una cosa solo tua. E l’unica cosa che hai solo tu sono i tuoi segreti. Un uomo senza segreti è un uomo senza identità». Mi ha fatto riflettere molto sull’importanza che il nome ha su un individuo. Infatti, quest’ultimo è la prima cosa che si dà ad un bambino/a appena nato/a, o forse ancora prima, nel momento in cui i nostri genitori hanno pensato a un futuro con dei figli, ma alla fine è solo una piccola parte di ciò che siamo noi veramente come individui, come esseri fatti di emozioni, ricordi e soprattutto segreti che ci rendono speciali indipendentemente dal nome che abbiamo. Ma il motivo principale per cui ho apprezzato questa storia lo si ritrova proprio nella protagonista, colei da cui Zerocalacare ha imparato a crescere e a vivere, ovvero sua nonna materna. Non tanto per la storia in sé non ho capito appieno, un po’ come Secco, ma soprattutto per il rapporto strettissimo che aveva Zero con la nonna materna, molto simile a quello che ho io con la mia. Nella mia vita ho passato forse più tempo con lei che con i miei genitori e sicuramente questo mi ha influenzato sia nel modo di fare e sia nel pensare. Abbiamo condiviso tanti momenti insieme e spero ne vivremo ancora mille altri ancora, ma pensare che un giorno non sarà più possibile mi rattrista sempre. Per questo motivo mi sono ritrovata molto nell’autore che raccontava della sua infanzia con sua nonna, perché mi ha ricordato anche un po’ la mia, soprattutto nelle mille attenzioni, forse a volte troppo eccessive; sono stata sopraffatta da una marea di ricordi e memorie che mi porterò dietro tutta la vita. Questa graphic novel mi è piaciuta molto: credo che in futuro leggerò qualche altro titolo di Zerocalcare.

                                                                                                                                                                     Cecilia Piccolo – 4 liceo A