l_oceano-di-plastica

Esiste un luogo sul pianeta Terra dove la ferita inferta dal nostro sistema di sviluppo incontrollato, basato sulla fede della crescita indefinita, risulta particolarmente evidente. Non si tratta di un’area metropolitana densamente popolata o di una zona portuale inquinata dal traffico incessante delle imbarcazioni, ma di una vastissima porzione di oceano a mille miglia di distanza dalla terraferma; uno dei luoghi più isolati che possiamo immaginare. Pressappoco a metà strada tra le isole Hawaii e la costa della California un enorme accumulo di materiale plastico ha formato quello che viene chiamato Great Pacific Garbage Patch (Grande Chiazza di Rifiuti del Pacifico) che si estende per una superficie di circa 2.000.000 di km2 (circa la superficie del Canada). Nei primi giorni di agosto del 1997 Charles Moore, capitano di una piccola imbarcazione diretta in California si imbatté in quel mare di rifiuti. La sconvolgente scoperta influenzò a tal punto la sua esistenza da indurlo a dedicare gli anni successivi alla ricerca delle cause e soprattutto delle conseguenze di quell’insolito fenomeno. Il Great Pacific Garbage Patch crebbe sensibilmente a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, periodo in cui il massiccio impiego di polimeri plastici spinse l’espansione dell’industria degli imballaggi e degli oggetti usa e getta. Al giorno d’oggi la produzione mondiale di materiali plastici ammonta a 300 milioni di tonnellate l’anno, una cifra incredibile ed inimmaginabile. Un’elevata frazione di questa plastica prodotta viene dispersa negli ecosistemi naturali e successivamente, a causa della sua persistenza, raggiunge gli oceani. Ma l’inquinamento proveniente dalla terraferma non è l’unica sorgente. Altre importanti fonti di rifiuti di plastica sono le milioni di navi mercantili, navi da pesca, navi militari e da crociera. Infine i violenti disastri naturali quali tsunami, tifoni, uragani e terremoti possono disperdere in mare tonnellate di materiale plastico. Per lungo tempo gli oceanografi di tutto il mondo si sono domandati quale sia la ragione per la quale questo materiale si accumuli nel vortice del pacifico. Recentemente si è scoperto che la distribuzione delle principali correnti oceaniche favorisce l’accumulo del materiale plastico in quella remota area. Il materiale plastico immerso nell’oceano non si degrada ma va incontro ad una progressiva frammentazione così da impattare a tutti i livelli della rete trofica. Sacchetti di plastica, accendini usa e getta, spazzolini per denti, ecc possono essere ingoiati da diversi animali causando il soffocamento. Particolarmente triste è la storia degli Albatri di Laysan che nidificano nelle remote isole Midway. Questi sontuosi uccelli, con una apertura alare che raggiunge i due metri, scambiano i frammenti di plastica variopinti come succulenti crostacei e pertanto li utilizzano come alimentano per i loro pulli che muoiono dopo poco tempo. L’impatto della plastica non si ferma qui. I microscopici frammenti, sminuzzati in particelle microscopiche dall’azione meccanica delle onde vengono assunti anche dal plancton filtratore con conseguenze disastrose. Si è calcolato che nel centro del vortice il rapporto tra particelle di plastica e plancton è di circa 6 a 1!! Che cosa possiamo fare per contrastare tutto questo? Dobbiamo necessariamente ripensare al nostro stile di vita basato sull’approccio usa e getta di un’infinità di prodotti. Ridurre al minimo l’utilizzo degli imballaggi e la pratica del riciclo sono la via per ridurre questa profonda ferita che abbiamo inferto al nostro pianeta!

Prof. Matteo Negro