Ne La generazione ansiosa lo psicologo Jonathan Haidt ha documentato l’effetto del cellulare dato ai ragazzi prematuramente. Gli studi ormai consistenti dimostrano che è causa di dipendenza, frammentazione dell’attenzione, diminuzione della socialità e perdita del sonno. Per un cervello in formazione questi quattro elementi compongono la kryptonite per «l’uscita» che è propria di questa tappa: l’energia della pubertà ha evolutivamente lo scopo di trovare il coraggio di uscire di casa per farne una nuova, infatti diciamo che una vita felice è una vita «ri-uscita».
Fin qui nulla di nuovo, se non che gli effetti del seduttore digitale sono ora scientificamente provati. L’aspetto più interessante del libro è però il non aver ridotto la causa dell’ansia, tipica delle generazioni cresciute a latte e telefonino, all’uso precoce dello strumento ma alla combinazione con uno stile educativo iperprotettivo. Il mondo è percepito come un luogo spaventoso da cui tenersi alla larga (anzi, spesso il cellulare è usato dagli adulti come mezzo di localizzazione). L’ansia è figlia quindi della paura (non si «educe», porta fuori, ma si «in-trattiene», si tiene dentro) combinata con l’essere investiti, senza limiti, dal mondo, via schermo (di nuovo, non «educe» ma «seduce», separa). In-trattenuti e sedotti i corpi non vengono al mondo: le quattro conseguenze descritte sopra sono sintomi di questa nuova ansia che si insinua nei corpi dei giovani.
Come uscirne fuori? Nell’ultima parte del libro l’autore indica delle azioni collettive da farsi a più livelli: governi, scuole, genitori nella consapevolezza che se anche i principi psicologici a cui attinge sono universalmente validi, i suggerimenti vanno calati nelle singole situazioni e soprattutto sui singoli giovani ciascuno dotato di una propria originalità e irripetibilità, perché se è “duro essere genitore o educatore, oggi e ancor più duro essere adolescente”.
don Enrico Stasi