Il romanzo di Donato Carrisi, uno degli autori contemporanei più rinomati, coinvolge e avvince e soprattutto trae in inganno il lettore che quando crede di aver compreso le correlazioni e gli enigmi presenti, si rende conto di aver sbagliato completamente strada. Il ritmo narrativo è serrato, l’intreccio complicato (a detta dei lettori assidui dell’autore, è forse il più complesso di tutti i romanzi), i personaggi sono numerosi e sfaccettati: in modo particolare la figura del serial killer è psicologicamente sfaccettata e complessa. Lo stesso Carrisi infatti ha ammesso più volte di ispirarsi a fatti di cronaca realmente accaduti per scrivere le sue narrazioni. L’ambientazione è inquietante e oscura, degna delle migliori serie crime degli ultimi tempi. I luoghi non sono precisati, ma dalle descrizioni si può evincere che la storia sia ambientata negli Stati Uniti d’America, caratterizzata da grandi spazi, con strade che si perdono nel nulla e chiesette che si ergono nel mezzo di lande desertiche. Il tutto rientra forse nella volontà dell’autore che pare non voglia connotare precisamente l’ambientazione e desideri descrivere una società multietnica, in cui tutti siano un po’ cittadini del mondo. I livelli di narrazione sono molteplici e si intersecano tra di loro: l’autore è abilissimo nell’ingannare il lettore e a tenerlo avvinto da numerosi colpi di scena, creando false piste e soluzioni mendaci. I personaggi sono numerosi, per lo più credibili: lascia un po’ interdetti però il ricorso al soprannaturale, quando l’intreccio, che si configura solido e coerente, paia non averne bisogno. Il Suggeritore non è però per tutti: è necessario avere una certa propensione per i thriller oscuri, tenebrosi, che implicano indagini che vanno a scavare nei più remoti e oscuri recessi dell’animo umano. Anche se alla fine vi è un colpevole, non vi è l’agognato scioglimento tipico del giallo: l’intreccio resta aperto (è di recente notizia la pubblicazione della continuazione del suddetto romanzo, Il gioco del suggeritore, Longanesi 2018) e nel lettore rimane quel senso di inquietudine e torbida angoscia, degna delle migliori narrazioni di inizio secolo. Molte situazioni descritte sono forti, violente, addirittura macabre; indugiano spesso nel gusto dell’orrido e dell’ossessivo. Un romanzo a tinte fosche: è un viaggio tetro nella parte più nera dell’animo umano.
Prof.ssa Silvia Piede