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Se fosse tuo figlio è uno di quegli strani libri che, quando li guardi, in un primo momento non ti dicono granché. Sarà per la copertina, sarà per le prime parole che leggi: «Incontro con un bambino migrante. Una storia vera». Ti aspetti il “solito” romanzo condito di buoni sentimenti. Poi però decidi di fidarti di chi te l’ha suggerito e, nonostante la diffidenza iniziale, lo compri. Arrivato a casa, inizi a sfogliarlo e i tuoi pregiudizi crollano, presi a cannonate dalla bellezza e dalla potenza del racconto di Nicolò, un giovane ragazzo di 25 anni originario di Cremona. Nicolò scrive in prima persona, con il suo stile semplice e appassionato che ti arriva dritto al cuore. Ti spiega che presta servizio come volontario in Grecia, nell’hotspot di Samos, che in teoria dovrebbe essere un grande centro di prima accoglienza dei migranti ma che in pratica è un inferno.
Sì, perché una struttura pensata per 650 persone, ma che in realtà ne ospita più di 3.400, non è umana. Perché una struttura che nega alcuni diritti umani fondamentali, come quello alla dignità, non può essere chiamata in altro modo. Moltissimi minori sono bloccati lì: si tratta di bambini e ragazzi che hanno un gran voglia di normalità, dopo tutti gli orrori che hanno dovuto affrontare. Nicolò decide allora di aiutarli, creando una scuola apposta per loro. Non senza difficoltà, riesce a dare vita a Mazí, quella che lui stesso definisce «la prima scuola per i bambini e adolescenti rifugiati che vivono nell’hotspot di Samos. È un porto sicuro in cui circa 150 minori vulnerabili possono studiare, crescere e sfuggire ai traumi di cui sono soggetti all’interno del centro».
Mentre la storia va avanti, Nicolò si mette a nudo e si scopre fratello maggiore, professore, padre e amico, dando tutto se stesso per i suoi ragazzi e per il suo progetto: dare una possibilità a tutti di un’educazione gratuita e di qualità, facendo sentire accolti ed europei i minori non accompagnati di oggi, e cioè i cittadini di domani. Se fosse tuo figlio è uno di quegli strani libri che, quando li guardi, in un primo momento non ti dicono granché. Poi però, quando finisci di leggerlo, ti lascia dentro un grande desiderio di aiutare Nicolò nel suo progetto, con la sua scuola, con la sua associazione. Ti lascia dentro l’amarezza per il trattamento riservato ai ragazzi e alle persone che arrivano all’hotspot di Samos. Ma forse, più di tutto, ti lascia dentro una grande speranza: alcuni giovani, come Nicolò, lottano davvero per
rendere il mondo un posto migliore. E la scuola può essere un valido strumento al servizio di questo scopo. Tra l’altro, il ricavato del libro permetterà a Nicolò di costruire un’altra scuola in Turchia, il paese con il più alto numero di rifugiati al mondo. Serve forse altro per correre in libreria?

prof. Alessandro Antonioli