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A volte, nei giorni di buio, il dolore prende il sopravvento, tramutandosi in qualcosa di cui è impossibile parlare, ma che con lo scorrere del tempo diventa sempre più familiare, nonostante si cerchi di nasconderlo. Allo stesso modo, la sofferenza degli abitanti di un paesino del Sud-Tirolo ha un ruolo chiaro e responsabile nel periodo della dittatura fascista, in cui non si è più liberi di parlare, di lavorare, di essere chi si vorrebbe. Questo libro racconta ciò che non è riportato nei libri di storia, ovvero le vicende personali di coloro che in quegli anni risiedevano a Curon, in Trentino. Trina, una donna caparbia e fiduciosa nel futuro, si fa portavoce della resistenza contro Mussolini e il Terzo Reich, scegliendo di combatterli con l’arma più potente: le parole. Diventando maestre clandestine, infatti, Trina e le sue coraggiose amiche decidono di insegnare il tedesco ai bambini nelle cantine del paese per preservarne l’identità linguistica, accettando a pieno i rischi e le conseguenze di tale scelta. In un contesto di disperazione e guerra le donne sono le prime a capire che le parole sono la più grande manifestazione di libertà; proprio per questo l’intento di tutto il romanzo è dare la possibilità di parlare a chi di solito non ha voce, alle persone comuni, come la protagonista e suo marito, che durante la guerra scelgono di disertare e si trovano obbligati a scappare dal loro stesso figlio, accanito sostenitore di Hitler. Sebbene siano costretti a stare nascosti sulle montagne e a lottare per sopravvivere, impugnando talvolta anche le armi, i protagonisti vivono col desiderio di potere fare ritorno nelle stradine e nelle piazze del paesino che costantemente portano nel cuore. Curon diventa molto di più di un paese, diventa l’emblema della loro vita prima che la guerra la stravolgesse e di tutti i momenti felici che ora non sono altro che ricordi. I personaggi ricordano al lettore odierno l’importanza del resistere, resistere sempre, anche quando non ha più senso e le speranze diventano mere illusioni; di questo valore è simbolo la punta del campanile di Curon, che tutt’ora svetta dignitoso sopra la distesa d’acqua che ormai ricopre da tempo i resti del paese sommerso e le tracce di chi lo abitava, ma che le parole e la memoria possono ancora riportare alla luce

Giulia Amorese – 4 liceo A