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Il libro si apre con alcune storie riportate da ragazzi sopravvissuti alla traversata del Mediterraneo raccontate da Leogrande che ha lavorato come volontario in una scuola di immigrati a Prenestina. Il primo a parlare è Shorsh, un ragazzo della prima ondata di profughi curdi verso l’Italia del 98/99. Shorsh mostra agli studenti della casa di Ponte Milvio una VHS del massacro di Halabja. Anche altri ragazzi come Ali, Hamid e Syoum, raccontano la loro storia ricordando ogni dettaglio del viaggio e dei motivi che li hanno spinti a partire. In seguito Leogrande racconta di una testimonianza di Eugenio Finzi che aveva avuto modo di vedere di persona le condizioni di vita carceraria nelle colonie. Racconta di detenuti le cui cause di morte più frequenti sono state: piaghe e punture di insetti, mancanza di cibo, malattie, cure mediche insufficienti o privazione dell’uso delle gambe poiché costretti a vivere incatenati su un tavolato. Una tappa significativa del racconto è costituita dalle parole di Papa Francesco che nel luglio del 2013, si è recato a Lampedusa per piangere tutti i migranti deceduti durante le traversate in mare. Nessun Papa l’aveva mai fatto prima di allora. Bergoglio ci fa capire come nessuno oggi si senta responsabile della morte di tutte queste persone e di quanto, invece, tutte queste morti siano un fatto concreto. Altrettanto saliente nel racconto è il riferimento al maggio 2013, quando, a due settimane dalla strage di Lampedusa, il Governo Italiano vara l’operazione Mare Nostrum mandando le navi davanti alla Libia per soccorrere uomini e donne. In un anno sono stati soccorsi 156.036 uomini. A fine ottobre 2014 la missione è stata sospesa perché ritenuta troppo dispendiosa sostituendola con la missione Triton. La nuova missione si è limitata, tuttavia, a controllare le coste e a pattugliare le acque territoriali. Viene meno il monitoraggio in alto mare e si riduce allo stesso tempo lo screening sanitario svolto dagli addetti imbarcati sulle navi. Sfortunatamente con la missione Triton gli sbarchi non diminuirono, anzi aumentarono. A fine del 2002 Leogrande viene a conoscenza di un ragazzo marocchino maltrattato dai carabinieri presso il centro di permanenza temporanea Regina Pacis di San Foca. Da luogo di accoglienza era diventato un campo di raccolta per migranti da espellere. Qui gli immigrati da rimpatriare, venivano tenuti sotto chiave e torturati. Dopo un po’ di denunce, nel 2005 il centro è stato chiuso. Il libro si chiude con Leogrande nella Chiesa di San Luigi dei Francesi e osserva le tele di Caravaggio chiedendosi se il suo sguardo non sia anche il nostro nei confronti dei naufragi, dei viaggi, dei migranti e della violenza politica o economica che li genera. Leogrande ci invita a guardare il mondo con gli occhi di Caravaggio e a capire che l’esodo di interi popoli avviene dopo cause che non si riescono a risolvere. Questo libro lo consiglio a chiunque voglia capire il fenomeno dell’immigrazione. Come dice l’autore, bisogna ascoltare le storie di chi ha voglia di raccontarle per riuscire a capire i motivi che hanno spinto tanti a partire e a lasciare tutto. Si tratta sempre di viaggi molto lunghi e molto rischiosi. Per fortuna ci sono persone come Leogrande che lavorano come volontari per aiutare, insegnare l’italiano e ascoltare i racconti di queste persone. A volte dovremmo fermarci e pensare che in realtà noi italiani siamo fortunati e che spesso ci lamentiamo per cose sciocche. Non ci ricordiamo che, fuori dalla nostra piccola fetta di mondo, c’è gente che soffre, che sta molto peggio di noi e che è costretta a decidere di voler sopportare un viaggio estenuante e in condizioni estreme nella speranza di avere una vita migliore.

Giulia Cerone – 4 liceo A